Il nome deriva dal greco Leukosia (Λευκωσία) che significa "bianca" e la leggenda vuole che Leukosia fosse una delle tre sirene che Ulisse incontrò nel suo viaggio, nell'Odissea omerica. Il toponimo è strettamente correlato con quello della capitale cipriota Nicosia (Lefkosía in greco, Lefkoşa in turco) e con quello del comune siciliano di Nicosia (EN).
Licosa è una frazione del comune di Castellabate in provincia di Salerno, costituita da un promontorio, denominato Enipeo da Licofrone o Posidio da Strabone, che ospita un vasto parco forestale di macchia mediterranea. La località è un'isola sulla costa tirrenica a nord del Cilento, il suo territorio è totalmente all'interno del parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni. Si trova nella parte meridionale del comune di Castellabate, fra le frazioni di San Marco e Ogliastro Marina. L'area forestale, composta da macchia mediterranea che arriva fino al mare (tutelato dall'istituzione dell'area marina protetta Santa Maria di Castellabate), ospita al centro la frazione, un piccolo borgo di alcune decine di abitanti posto alle pendici del Monte Licosa (326 m s.l.m.). La sua estremità, in corrispondenza della quale si colloca l'isoletta omonima con il faro, chiude a sud il golfo di Salerno, e rappresenta un punto importante per la navigazione fin dai tempi antichi. L'Isola ospita l'habitat naturale di un particolare tipo di lucertola endemica dalla livrea verde e azzurra, la Podarcis sicula klemmeri.
A punta licosa troviamo una delle spiagge più belle d'Italia oltre a monumenti e luoghi di interesse. Di seguito un elenco parziale:
- Cappella di Santa Maria del Soccorso: edificata per offrire ricovero ai naufraghi sul molo di punta Licosa al fianco di palazzo Granito.
- Palazzo Granito: è un casino di caccia costruito nella prima metà del Settecento da Parise Granito, che, con la cappella di Santa Maria del Soccorso, si affaccia sul molo di punta Licosa. Rappresentava uno dei soggiorni del re Carlo di Borbone, appassionato di caccia e di pesca ed amico della famiglia.
- Torre di Licosa (rudere): è una postazione di avvistamento di origine angioina (1277), la più antica del sistema difensivo di Castellabate.
- Torre Cannitiello o "Mezzatorre" (rudere): una postazione di avvistamento che risale al periodo 1567-1569.
- Torre del Semaforo o Torricella (rudere): una postazione di avvistamento del 1570, posta sulla collina di Licosa. Deve il suo nome al fatto che utilizzava segnali di fuoco o fumo per comunicare con le altre torri della fascia costiera o col Castello dell'abate posto in cima a colle Sant'Angelo.
- Convento Sant'Antonio Abate (rudere): posto nel cuore della collina licosana e eretto dai monaci cappuccini nel XVII secolo per offrire rifugio ai confratelli provenienti dal meridione. Usato anche come stazione semaforica prima della costruzione del faro dell'isola di Licosa[7].
- Lapide commemorativa dei caduti del Velella (07/09/1943): posta nel 2002 sul molo di punta Licosa, composta da un monumento circolare di bronzo raffigurante il sommergibile che affonda e l'elenco dei membri dell'equipaggio. Il relitto del sommergibile Velella è stato individuato nel 2003, a 138 metri di profondità, nella zona di Punta Licosa nel Cilento.
- Isola di Licosa (160 metri di lunghezza e 40 metri di larghezza): rappresenta il sito naturale più caratteristico del territorio, con le sue secche e i suoi limpidi fondali. Nelle sue acque sono visibili i resti sommersi dell'omonima città greco-romana, specialmente quelli di una villa romana e di una vasca per l'allevamento delle murene (risalente ad un periodo che va dal I secolo a.C. al I secolo d.C.). Sull'isola, dove svetta il faro e il rudere della casa del guardiano del faro, sono stati rinvenuti diversi reperti di epoca greco-romana come una lastra con un'epigrafe dedicata a Cerere, un mosaico d'epoca romana e numerose ceramiche greche del V secolo a.C., conservate nel Museo archeologico nazionale di Paestum. La zona è pervasa dal mito delle sirene. Si crede che il nome di Licosa derivi dalla sirena Leucosia, che, secondo autori come Licofrone, Strabone e Plinio il Vecchio, qui abitò e qui fu sepolta dopo che si gettò in mare. Anche Omero, nell'Odissea, accenna all'isola delle sirene dal canto ammaliatore, beffate da Ulisse e il suo equipaggio. Ma siccome l'isola di Licosa un tempo era collegata al promontorio, prima dell'inabissamento della costa avvenuto nel IV secolo a.C., si ritiene che l'isola delle sirene possa essere la poco lontana "Secca di Vatolla" (da dove è possibile osservare Vatolla), profonda circa sei metri. Aristotele narra della presenza sull'isoletta di un tempio dedicato a Leucotea, identificata con Leucosia. Altri autori, come Dionigi di Alicarnasso e Sesto Pompeo Festo, sostengono che il nome Licosa sia dovuto ad una cugina o una nipote di Enea sepolta sull'isoletta ("Leucosia insula dicta est a consobrina Aeneae ibi sepulta").
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